L’Eleganza del Riccio – Quando la morte può salvare

“L’Eleganza del Riccio” è un libro del 2007 scritto dall’autrice francese Muriel Barbery. Il libro racconta l’intreccio di vite di tre persone apparentemente molto lontane tra loro: Renée Michel, una portinaia scortese e rude di una palazzina elegante e lussuosa al centro di Parigi; Paloma, una giovane ragazzina figlia di una delle ricchissime famiglie che abitano la palazzina in questione; Kakuro, un ricco e misterioso giapponese che si trasferisce nella palazzina. Al di là di ogni apparenza, soprattutto di quella di Renée, la protagonista indiscussa del libro, tutti e tre sono accumunati da una stessa cosa: un’intelligenza eccezionale, fine e ricercata. E da qui nasce la metafora del riccio: Paloma e Kakuro, infatti, capiscono che possiede “l’eleganza del riccio”: fuori è protetta da aculei, ma dentro è semplice e raffinata. I ricci vengono del resto definiti “risolutamente solitari e terribilmente eleganti”.
Sebbene Renée sia la protagonista del libro, Paloma è un personaggio chiave; non solo perché riesce a comprendere la vera natura della portinaia, ma perché lei stessa in fondo vive il suo stesso disagio: anche lei disprezza l’ambiente intorno a sé, ritenendolo ipocrita e poco interessante. Paloma infatti decide di isolarsi dal resto della sua famiglia e delle sue compagne di scuola, che si atteggiano a persone intellettuali e appassionate di arte, così come richiesto dall’alta società, nonostante in realtà non conoscano neanche gli autori e le opere più classiche. Per questa ragione, la ragazzina mette in atto un piano per potersi suicidare ed evitare così di entrare nel mondo degli adulti, un mondo privo di arte, l’unica cosa per cui vale la pena vivere.

Le pagine che seguono sono le ultime del libro: sebbene questo preveda uno spoiler (come viene chiamato oggi), ho deciso di proporvele in lettura perché penso possano essere di grande sostegno soprattutto a quelle persone che ancora non riescono ad accettare la morte.
Buona lettura!

Ultimo pensiero profondo

Ma cosa fare
dinanzi a un mai più
se non cercare
ininterrottamente
nelle furtive note?

“Madame Michel è morta stamattina. È stata investita dal camioncino di una tintoria, vicino a rue du Bac. Non riesco a credere che sto scrivendo queste parole. Me l’ha detto Kakuro. A quanto pare, Paul, il suo segretario, stava risalendo la strada proprio in quel momento. Ha visto l’incidente da lontano, ma quando è arrivato era troppo tardi. Lei aveva cercato di aiutare Gégène, un barbone che sta all’angolo della rue du Bac, ubriaco fradicio. Gli è corsa dietro e non ha visto il camioncino. Sembra che abbiano dovuto portare all’ospedale la donna che guidava, in piena crisi di nervi. Kakuro ha suonato da noi verso le undici. Ha chiesto di me, poi mi ha preso la mano e mi ha detto: «Non c’è alcun modo per sottrarti a questo dolore, Paloma, allora te lo dico così come è successo: poco fa, verso le nove, Renée ha avuto un incidente. Un incidente molto grave. È morta». Piangeva. Mi ha stretto la mano fortissimo. «Oh mio Dio, ma chi è Renée?» ha chiesto la mamma, spaventata. «Madame Michel» le ha risposto Kakuro. «Ah!» ha fatto lei con sollievo. Lui le ha dato le spalle, disgustato. «Paloma, ora mi devo occupare di un sacco di cose poco divertenti, ma ci vediamo dopo, va bene?» mi ha detto. Ho fatto cenno di sì, gli ho stretto anch’io la mano fortissimo. Ci siamo salutati alla giapponese, un piccolo inchino veloce. Ci capiamo. Stiamo così male. Quando è andato via, desideravo solo una cosa: evitare la mamma. Lei ha aperto bocca, ma le ho fatto segno di no con la mano, il palmo rivolto verso di lei, per dire: “Non provarci nemmeno”. Ha avuto un piccolo singulto, ma non si è avvicinata e mi ha lasciata andare in camera mia. E lì mi sono raggomitolata sul letto. Dopo una mezz’ora, la mamma ha bussato piano piano alla porta. Ho detto: «No». Non ha insistito. Da quel momento sono passate dieci ore. E sono anche successe molte cose nel condominio. In breve: Olympe Saint Nice appena l’ha saputo si è precipitata giù alla guardiola (era venuto un fabbro ad aprirla) per prendere Leve sistemarlo da lei. Penso che madame Michel, che Renée… penso che avrebbe voluto così. Ero sollevata. Madame de Broglie si è messa a dirigere le operazioni, sotto il comando supremo di Kakuro. È strano, quella vecchia bisbetica mi è sembrata quasi simpatica. Ha detto alla mamma, la sua nuova amica: «Era qui da ventisette anni. Ci mancherà». E ha organizzato immediatamente una colletta per i fiori, incaricandosi di contattare i parenti di Renée. Ma perché, ne aveva? Non lo so, madame de Broglie si sta informando. Il peggio è stato con madame Lopes. Quando è arrivata alle dieci per le pulizie, sempre madame de Broglie si è incaricata di dirglielo. Pare che sia rimasta lì qualche secondo senza capire, la mano sulla bocca, e poi sia caduta per terra. Un quarto d’ora dopo, quando ha ripreso conoscenza, ha mormorato solamente: “Oh scusatemi, scusatemi» e poi si è rimessa il fazzoletto ed è tornata a casa sua. Uno strazio. E io? lo che cosa provo? Chiacchiero dei piccoli eventi del 7 di rue de Grenelle ma non sono molto coraggiosa. Ho paura di guardare dentro me stessa e vedere cosa sta succedendo. Mi vergogno anche un po’. Credo che in fondo io volessi morire e far soffrire Colombe, la mamma e papà solo perché ancora non avevo mai sofferto davvero. O meglio: soffrivo senza provare dolore, e tutti i miei bei progetti erano un lusso da ragazzina senza problemi. La lucidità di una bambina ricca che vuole rendersi interessante. Ma ora, per la prima volta, sono stata male, tanto male. Un pugno nello stomaco, senza respiro, il cuore in poltiglia, lo stomaco completamente spappolato. Un dolore fisico insopportabile. Mi sono chiesta se mai un giorno potrò rimettermi da questo dolore. Volevo urlare dal dolore. Ma non ho urlato. Adesso la sofferenza c’è ancora, ma non mi impedisce più di camminare o di parlare, mentre provo una sensazione di impotenza e assurdità totali. Allora è proprio così? Di colpo svaniscono tutte le possibilità? Una vita piena di progetti, di discussioni appena abbozzate, di desideri ancora non esauditi si spegne in un secondo, e non rimane più niente, non c’è più niente da fare, non si può più tornare indietro? Per la prima volta in vita mia ho sperimentato il senso delle parole mai più. Beh, è una cosa terribile. Le pronunciamo cento volte al giorno, ma non sappiamo cosa stiamo dicendo se non ci siamo ancora confrontati con un vero “mai più”. In fondo ci illudiamo sempre di poter controllare ciò che accade; nulla ci sembra definitivo. Anche se in queste ultime settimane dicevo che presto mi sarei suicidata, non so se ci credessi veramente. Ma questa decisione mi faceva davvero provare il senso della parola “mai”? Niente affatto. Mi faceva provare il mio potere di decidere. E penso che, qualche istante prima di mettere fine alla mia vita, “finito per sempre” sarebbe rimasta ancora un’espressione vuota. Ma quando qualcuno a cui vuoi bene muore … allora posso dire che capisci cosa significa, ed è una cosa che fa molto molto male. È come un fuoco d’artificio che si spegne di colpo e tutto diventa nero. Mi sento sola, malata, ho la nausea e ogni movimento mi costa uno sforzo immane. E poi è successa una cosa. È incredibile, vista la tristezza di questa giornata. Verso le cinque, io e Kakuro siamo scesi giù alla guardiola di madame Michel (volevo dire di Renée) perché doveva prendere dei vestiti da portare alla camera mortuaria dell’ospedale. Ha suonato da noi e ha chiesto alla mamma se poteva parlare con me. lo lo sapevo che era lui, ed ero già lì. Ovviamente volevo accompagnarlo. Abbiamo preso l’ascensore insieme, senza dirci niente. Aveva un’aria stanchissima, più stanca che triste; ho pensato: è così che si esprime la sofferenza sui visi buoni. Non si manifesta, appare solo una grande
stanchezza. Chissà se anch’io ho l’aria stanca. A ogni modo io e Kakuro siamo scesi in guardiola. Ma, attraversando il cortile, ci siamo fermati di colpo tutti e due nello stesso istante: qualcuno si era messo al piano e sentivamo benissimo quello che stava suonando. Credo fosse Satie, beh insomma, non sono proprio sicura (comunque era un pezzo classico). Non ho esattamente un pensiero profondo al riguardo. E poi come si fa a pensare qualcosa di profondo quando la tua anima gemella giace nel frigorifero dell’ospedale? So solo che ci siamo fermati di colpo tutti e due e abbiamo respirato lungamente, lasciando che il sole scaldasse i nostri visi e ascoltando la musica che giungeva da lassù. “Penso che Renée avrebbe apprezzato questo momento» ha detto Kakuro. E siamo rimasti lì, qualche minuto ancora, ad ascoltare la musica. Ero d’accordo con lui. Ma perché? Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. È come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai. Sì, è proprio così, un sempre nel mai. Non preoccuparti, Renée, non mi suiciderò e non darò fuoco proprio a un bel niente. Perché d’ora in poi, per te, andrò alla ricerca dei sempre nel mai.
La bellezza, qui, in questo mondo.”

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